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La diritta via dell’Acquedotto Pugliese non è smarrita

Le conclusioni del tavolo tecnico ministeriale al progetto della ciclovia

di Cosimo Chiffi (portavoce del Coordinamento dal Basso)

Nelle scorse settimane il Ministero per le Infrastrutture e la Mobilità Sostenibili (MIMS) ha concluso il complesso iter di valutazione dei progetti di fattibilità della Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese, la prima del Sud a rientrare in quel sistema di ciclovie nazionali concepito per attrarre una quota consistente e in costante crescita del cicloturismo nazionale e internazionale.

Un po’ insolita questa ciclovia rispetto a molte altre. Parte dalle sorgenti di Caposele, in Alta Irpinia, e attraversa solo luoghi dell’Italia interna: il Vulture Melfese, l’Alta Murgia, la Valle d’Itria, l’Arneo e l’entroterra del Salento per poi giungere nel finisterrae di Santa Maria di Leuca. Qui si è al cospetto di una cascata monumentale che guarda il Mediterraneo e che celebra una delle opere di ingegneria idraulica più ardite del mondo, l’Acquedotto Pugliese. La ciclovia è il viaggio iconico in bicicletta di 500 km che si compie letteralmente sulla condotta storica, il Canale Principale, realizzata tra il 1906 e il 1939, pedalando sulla pista di servizio e sui ponti canale, incrociando impianti di sollevamento, fontanine, serbatoi pensili, edifici di ispezione, targhe segna-chilometro. Una ciclovia d’epoca, nascosta, incastonata nella natura, già oggi percorribile in bici e a piedi e di cui si discute ormai da oltre 20 anni.

segni distintivi

Non solo a parole naturalmente. Nel 2000 ci volle essenzialmente buon senso e volontà per attrezzare in tempi rapidi e rendere fruibili ben 78 km di percorsi in 6 diversi tratti della condotta e delle sue emergenze. Oggi siamo ancora ad appena una quindicina ufficialmente aperti in Valle d’Itria. Un dossier che abbiamo predisposto ne ripercorre tutte le tappe.

Il tavolo tecnico coordinato dal MIMS (e che ha raccolto anche i pareri del MIBACT e delle Soprintendenze) ha analizzato i quattro diversi progetti elaborati dalle Regioni Puglia, Basilicata e Campania, inserendo agli atti anche le osservazioni del Coordinamento dal Basso, pervenute attraverso il prezioso contributo di Legambiente che con il comitato condivide l’esperienza dell’Alleanza per la Mobilità Dolce.

La mancanza di regia globale, di visione unitaria e l’assenza di identità sono gli elementi più importanti rimarcati dal tavolo. Un vero paradosso per un itinerario con un’identità invece molto forte e chiara. Non poteva essere diversamente data la scelta delle Regioni di non sviluppare un unico progetto di fattibilità tecnico-economica, come hanno fatto le altre ciclovie nazionali, ma di farne ben quattro in tempi e modi diversi. Bisognerà recuperare nelle successive fasi di progettazione per scongiurare il rischio di una realizzazione frammentata e disomogenea.

Viene riconosciuta una doppia connotazione della ciclovia. Lungo il tratto campano, lucano e il primissimo tratto pugliese fino a Castel del Monte, li dove la condotta viaggia in buona parte in galleria, si dovrà gioco forza accettare qualche tratto in promiscuo e dei tratti in pendenza più lunghi. Il livello di percorribilità atteso è per cicloturisti più esperti o per chi vorrà usare una e-bike.

Dalla fortezza di Federico II fino alla vista del mare il profilo altimetrico ha evidenziato pendenze praticamente nulle e qui entra in gioco la pista di servizio esistente fino alla centrale idroelettrica Battaglia di Villa Castelli (BR) e, in futuro, i tratti che si prescrive di realizzare sulla sommità del manufatto acquedottistico (bauletto) per garantire una ciclovia il più possibile in sede riservata. Tratti peraltro già in parte costruiti con quella modalità da Acquedotto Pugliese in provincia di Lecce e con il vantaggio di disporre della strada di servizio del Consorzio di bonifica dell’Arneo. Il progetto di fattibilità dell’ultimo tronco a sud andrà dunque rielaborato ma questo consentirà anche ai fruitori meno esperti di percorrere in continuità e senza cambi di tipologia buona parte del tratto pugliese.

Il Ministero prescrive di garantire il carattere identitario della ciclovia, legato alla storia dell’acquedotto e che dovrà quindi seguire il più possibile le emergenze di archeologia industriale dell’opera. Bisognerà per forza di cose passare, ad esempio, dall’impianto di sollevamento di Calitri (AV), incredibilmente saltato dal progetto di fattibilità per attraversare un’area industriale, così come pure – sottolinea espressamente il MIMS – dai ponti canale che attraversano il bosco di Bucito in Basilicata, definita “tratta di particolare pregio” e, anche in questo caso, inspiegabilmente esclusa dal progetto lucano.

Anche se gli edifici che compongono il patrimonio architettonico di acquedotto dovranno essere recuperati attraverso altre risorse (un dettaglio irrilevante visti i tanti fondi europei che le Regioni del Sud faticano a spendere) si potranno invece restaurare tutti i ponti canale, inclusi i parapetti storicizzati con la raccomandazione di evitare lo smantellamento della pavimentazione storica e la perdita di identità storico-paesaggistica della pista di servizio. Questo elemento, più volte rimarcato dal Coordinamento dal Basso, è oggi ufficialmente garanzia di un approccio nuovo di tutela più che di insensato rifacimento totale.

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Se da un lato non si possono utilizzare leganti chimici visto che appena sotto scorre preziosa acqua potabile, è il fascino autentico che regala la pista ad essere stato salvaguardato. In oltre 100 anni non si è solo compattato per sempre il terreno, ma si è creata quella commistione tra natura, paesaggio e opera dell’uomo che – come abbiamo sempre detto – ha bisogno essenzialmente di un progetto intelligente di restauro e fruizione che metta al lavoro diverse competenze e sensibilità.

Si afferma anche la necessità di non inserire deviazioni varie verso altri punti di interesse dall’asse principale che deve essere unico. Questo per non snaturare la ciclovia della sua stessa identità e quindi riconoscibilità e praticabilità per coloro che intendono percorrerla.

Occorrerà consegnare già nella fase di progettazione definitiva un piano di gestione e manutenzione unitamente all’individuazione del soggetto gestore che si caldeggia sia unico. Questo soggetto, a nostro parere non può che essere Acquedotto Pugliese SpA, una delle utilities più importanti a livello nazionale con competenze ed un’organizzazione adeguata a garantire la tutela e la fruizione del suo stesso patrimonio. È tempo per AQP di aprire un ufficio dedicato alla ciclovia.

Il lavoro portato avanti dal tavolo tecnico dimostra sostanzialmente la capacità e la volontà delle strutture centrali dello Stato di voler fare le cose per bene senza peraltro bloccare la prosecuzione del progetto: fatte salve le prescrizioni di cui si è detto, i primi lotti funzionali potranno a questo punto essere realizzati.

Quello che sembrava un compito facile (aprire alla fruizione in tempi brevi una ciclovia di fatto già esistente, naturalisticamente unica e con un tracciato già definito dal percorso della condotta e dalle emergenze di archeologia industriale) si è incredibilmente impantanato in un groviglio di errori e di mancanza di visione. Quella che qualsiasi osservatore esterno riconoscerebbe come “la diritta via dell’Acquedotto Pugliese”, sembrava essere irrimediabilmente smarrita.

Eppure il MIMS e il MIBACT hanno dato prova di saper guidare la realizzazione di questa ciclovia non limitandosi a un mero trasferimento di risorse alle Regioni, cui è stata data una seconda possibilità. Questa è una buona notizia per l’Italia e per le prossime generazioni di europei che pedaleranno sulle ciclovie nazionali, certamente su quella dell’Acquedotto Pugliese che non avrà perso la sua identità e il suo fascino.

In questi lunghi mesi difficili si parla spesso di ripartenza. Anche questo progetto dovrà in qualche modo ripartire su basi nuove provando a recuperare la visione originaria di un’opera che potrebbe realmente segnare la rinascita di molte aree interne approfittando del momento magico, ormai irreversibile nonostante la pandemia, che sta vivendo il turismo slow e in particolare il cicloturismo a livello mondiale.

Il Coordinamento dal Basso continuerà la sua opera di raccordo tra le comunità che abitano e desiderano restare a vivere nei territori attraversati dalla ciclovia. Continuerà l’opera di valorizzazione del patrimonio identitario dell’Acquedotto Pugliese e proverà, ancora una volta, a stimolare le istituzioni cui spetta il compito finale di aprire in tempi rapidi alla fruizione questo incredibile itinerario narrativo.

Ma a questo punto non si può più sbagliare e la prima cosa da fare è ottenere dalle regioni Campania, Basilicata e Puglia la promessa che la progettazione definitiva ed esecutiva sia unica e non spezzettata, con un solo gruppo di progettazione a dare carattere, identità e qualità all’intero tracciato. Proveremo a discuterne con tutte e tre le Regioni e a lanciare un dibattito pubblico. Proveremo anche a rilanciare la proposta di una nuova Cicloesplorazione dell’Acquedotto Pugliese come strumento di animazione territoriale per promuovere la ciclovia.

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