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Sogni clandestini sulla Ciclovia dell’Acquedotto

di ROBERTO GUIDO

(autore della guida “Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese” ed esponente del Coordinamento dal Basso per la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese)

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Confesso. Da clandestino ho pedalato lungo la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese. È stato fantastico. E non solo per me. Altri tre amici hanno trasgredito con me e tanti altri lo hanno fatto e lo fanno abitualmente più o meno inconsapevoli di commettere un reato, una violazione della proprietà privata. Già, perché dovunque, da Castel del Monte a Villa Castelli, passando per Cassano delle Murge, Gioia, Alberobello, Cisternino e Ceglie, la storica pista di servizio dell’Acquedotto Pugliese è inibita alla frequentazione delle persone. Chiunque esse siano.

Pedoni, camminatori, pellegrini, trekker, runner, cicloviaggiatori, ciclisti sono tutti indistintamente clandestini. Accanto alle sbarre, spesso aperte e comunque sempre facilmente aggirabili, campeggiano i cartelli “proprietà privata” e ”divieto d’accesso” che Acquedotto Pugliese Spa ritiene di non rimuovere neanche laddove la Regione Puglia ha investito fior di euro per rendere la pista un percorso ciclabile, cioè nel tratto fra Figazzano (Cisternino) e Pineta Ulmo (Ceglie Messapica). Un tratto breve rispetto ai circa 140 chilometri che vanno da Castel del Monte (Andria) fino a Villa Castelli, ma comunque importante dal punto di vista turistico, tanto da meritare di essere messo in primo piano nello spot istituzionale della stessa Regione per rilanciare il turismo di Puglia.

Eppure questa pista proprietà privata proprio non è: l’acquedotto pugliese è proprietà demaniale dello Stato, assegnata in concessione ad Acquedotto Pugliese Spa, che è sì una società di diritto privato ma con capitale interamente pubblico, dato che unico azionista è la Regione Puglia.

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Al presidente di Aqp, Simeone di Cagno Abbrescia, che poco più di un anno fa si impegnò a organizzare un sopralluogo comune per verificare la possibilità di “aprire” la pista alla fruizione escursionistica, dovrebbe risuonare forte il messaggio che il tempo è scaduto. E non perché lo sosteniamo noi del Coordinamento dal Basso, che dal 2015 cerchiamo di dare corpo e slancio a un progetto che alimenta una nuova visione dello sviluppo del Sud, ma perché il mondo va avanti in fretta.

Se fino a poco tempo fa era solo una piccola nicchia quella che guardava con attenzione al turismo slow, oggi è una fetta sempre più grande e importante (nel rapporto Isnart-Legambiente viene valutato nel 7 per cento il fatturato del turismo in Italia legato al cicloturismo) e la Puglia rischia di vedersi definitivamente oscurare da regioni come il Trentino che hanno avuto la vista lunga. Nel 2019, sempre secondo questo rapporto, sono stati stimati 20,5 milioni di pernottamenti di cicloturisti italiani, dunque nel 2020 considerando anche dei brevi soggiorni autunnali (due/tre giorni) a fine 2020 si potrebbero raggiungere le 25,9 milioni di presenze (+26%).

Mentre la burocrazia nazionale e regionale annaspa attorno a un progetto finanziato già da quattro anni insieme ad altre tre Ciclovie di priorità nazionale e l’unico cantiere aperto tra Villa Castelli e Grottaglie è desolatamente in abbandono, il passaparola spinge sempre più cicloturisti a imboccare la strada dell’avventura lungo la Ciclovia dell’Acquedotto, pur consapevoli di farlo sotto la loro responsabilità.

Questo, insomma, è il classico caso in cui la società civile è andata più avanti della politica e della burocrazia: la storica pista di servizio dell’Acquedotto è già un percorso turistico, non solo per i cicloviaggiatori ma anche per i camminatori (la traccia è interamente inserita nel Cammino Italia del Cai e per diversi tratti nel Cammino Materano), ma formalmente non si può percorrere.

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Questo stato di anarchia istituzionale non consente di promuovere, come si dovrebbe, questa straordinaria Via Verde di Puglia. Che c’è già. È vero, ci sono (pochi) punti pericolosi che andrebbero messi in sicurezza ma non c’è proprio alcun bisogno di smantellare tutto (peraltro stravolgendo un’opera che meriterebbe il vincolo della Soprintendenza e l’inserimento tra i beni dell’Unesco) per ricostruire da zero la strada. C’è solo bisogno di disciplinarne l’accesso a tutela di tutti.

Se proprio Regione Puglia e Acquedotto Pugliese non si vogliono impegnare in prima linea in un progetto per “mettere a reddito” lo straordinario patrimonio di archeologia industriale che c’è lungo il percorso, almeno che lascino fare. Potrebbe essere sufficiente elaborare un regolamento d’uso condiviso con le associazioni e gli enti locali, considerando questo percorso alla stregua di un sentiero escursionistico e dettando al contempo le regole per la necessaria sicurezza dell’infrastruttura.

Poco più di un secolo fa, i nostri avi riuscirono a costruire l’Acquedotto Pugliese portando l’acqua corrente a Bari in soli 8 anni, noi pugliesi della Ciclovia dell’Acquedotto ne parliamo dal 2006 e non siamo ancora a nulla. È davvero il caso di darsi una mossa. Altrimenti le dichiarate aspirazioni a incrementare il turismo sostenibile in Puglia resteranno solo sogni clandestini.

About the author: Cosimo Chiffi